E’ singolare rilevare come l’infelicità risulti più multiforme nel suo declinarsi rispetto alla felicità ,aspetto di interessante interpretazione .
La “neutralità” è una condizione molto peculiare, una fascia limbica dove l’emozionalità sembra appartarsi per una pausa, una sospensione più o meno temporanea dell’animo contraddistinta da un’apparente assenza di connotati e per tale ragione categoria a sè stante ,da non confondere con l’Apatia Emotiva quadro rientrante già nel disagio psicologico.
Il passaggio da un stato all’altro può intraprendere i percorsi più vari: dal brusco cambiamento alla graduale transizione subordinato dalla tipologia degli eventi biologico-relazionali coinvolti.
Le capacità di compenso dell’organismo sono testate e conseguentemente usurate dalle continue sollecitazioni fisiche e mentali.
Passare direttamente dalla felicità alla disperazione massima, vedi disgrazie improvvise, senza transitare in forme intermedie, scatena un trauma psico-fisico tra i peggiori proprio per la drastica alterazione subita dai sistemi coinvolti, talvolta con esiti fatali.
Tutti gli organi subiscono gli effetti di queste fluttuazioni, solo apparentemente in misura diversa data la maggiore “appariscenza” di alcuni rispetto altri: un cuore che pulsa più velocemente, lo stomaco che “brucia” per eccesso acido, una cute eccessivamente sudata e grassa riproducono segnali più evidenti rispetto a quanto può capitare a organi “meno appariscenti” per la loro distinta “espressività d’organo” (vedi fegato, rene, pancreas, ghiandole endocrine).
Se la localizzazione neurologica dell’umore è approssimativamente definita ,la relativa organizzazione funzionale nasconde quasi completamente tutti i suoi misteri facendo avanzare solo delle ipotesi.
La prima suppone la presenza di due distinte aree cerebrali collegate tra loro, qui metaforicamente denominabili “Felicitina” e “Tristone”, dove l’attivazione delle rispettive cellule nervose determina la condizione di appartenenza ( felicità o tristezza).
In questo caso sarebbe il tipo di “area cellulare stimolata ” a stabilire il connotato umorale determinato .
Una seconda ipotesi identifica nel tipo di neuromediatore la capacità di “selezionare” categorie neuronali sensibili alla sua specifica azione.
Infine la terza eventualità ritiene che aree specifiche e mediatori siano un tutt’uno inestricabile, un’amalgama evolutiva interconnessa da cui sia impossibile contemplare la loro scissione, anche parziale .
Il cervello che indaga se stesso è un “esercizio di autoanalisi” molto affascinante ma ricco d’incognite e spesso inesatte verità.
Nel corso dei secoli il genere umano ha tentato di individuare sostanze capaci di regalare la felicità .
L’uso illusorio di droghe, psicofarmaci, alcoolici, quali strumenti più frequentemente impiegati a tal fine dimostrano il loro immediato infausto insuccesso concedendo nella migliore delle ipotesi un brevissimo transitorio stato di “neutra” incoscienza od oblio.
Molti fattori ,ambientali-alimentazione-abitudini voluttuarie-stili di vita etc, concorrono a condizionare/stimolare/reprimere/esaltare entrambi i poli ma il primum movens misterioso e affascinante resta quel mutevole protagonista presente in ogni essere vivente: il pensiero.
Il pensiero è in grado di stimolare “Felicitina” o “Tristone” con conseguenti effetti a cascata sul corpo bersaglio.
La società consumistica è un’efficiente apparato “tristonico” in quanto pur consentendo variabili margini di sicurezza materiale la richiesta in contropartita si concretizza nell’erosione dello spazio vitale sia individuale che ambientale destinati entrambi al progressivo deterioramento.
Per esempio il progressivo deterioramento dell’habitat naturale perpetrato dall’uomo in pochissimo tempo per conquistare e accatastare questa presunta quantità di “benessere” ha innescato effetti irreversibili o comunque solo ipoteticamente regredibili con la sola sospensione totale di tutte le sue attività.
La liberazione dalla schiavitù delle esigenze primordiali della sopravvivenza si è trasformata nella rincorsa al possesso di “cose” debordanti la ragionale e concedibile esigenza di migliorare la propria condizione materiale edificando un baratto esistenziale dove la qualità è a scapito della quantità, quando peraltro presente.
Alla fine degli anni’60 furono effettuati studi su alcune popolazioni vere e proprie enclavi distribuite su continenti diversi ,quali Okinawa in Giappone- Abkhazia in Caucaso – Hunza in Pakistan – Vilcabamba in Ecuador e più recentemente Ovodda in Sardegna e Loma Linda in California,caratterizzate da peculiare longevità.
Nella comunità abkhaziana pur assumendo grassi animali, alcolici e tabacco, tra i maggiori imputati nella società industrializzata quali agenti “letali”, non producevano alcuna variazione nell’ incidenza patologica.
L’esito finale delle ricerche ha individuato quale fattore predominante l’assenza reale dello stress coadiuvato da un’attività fisica costante e una dieta semplice.
Una diffusa ed omogenea “Felicitina” scaturita da un pensare personale e collettivo molto positivo.
Aggressività, conflittualità, prevaricazione sono diventati nella società consumistica elementi abituali di confronto e convivenza tanto da considerarli non una più rara eccezione ma l’habitus di normale relazione.
In questo humus umorale le patologie, cardiovascolari-dismetaboliche-neoplastiche-immunitarie in primis, trovano condizioni ottimali per il loro insediamento e sviluppo.
Ogni persona e quindi ogni paziente deve sempre ricordare che se desidera la salute del proprio corpo deve esercitarsi, nei limiti del possibile, a raggiungere condizioni di serenità migliori.
© 2024 Dott. Roberto Russo – Tutti i diritti riservati | P.iva: 01036110383
Utilizziamo i cookie per offrirti la migliore esperienza online. Esprimendo il consenso accetti l'utilizzo dei cookie in conformità alla nostra politica sui cookie.
Quando visiti un sito Web, esso può archiviare o recuperare informazioni sul tuo browser, principalmente sotto forma di cookies. Controlla qui i tuoi servizi di cookie personali.