Curare il benessere per allontanare la malattia
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L'essenza dell'umore

Uomo Vitruviano
 
 
Da tempo immemore è noto che ” ridere fa buon sangue ” ed è esperienza comune constatare quanto sia fondamentale il nostro umore nel condizionare anche profondamente lo stato di salute.

Già dall’antichità alcune patologie venivano correlate a stati psicologici più o meno protratti e in tempi recenti si è potuto chiarire tale connessione avvalendoci di nuove conoscenze biomediche.
 
Chiunque avrà notato che una forte emozione riesce a condizionare immediatamente lo stato del più piccolo pelo, del battito cardiaco, della frequenza del respiro, delle funzioni digestive o quant’altro.
 
E’ quindi manifesta la capacità dello stato psichico di interferire sul fisiologico funzionamento corporeo determinando reazioni contrapposte a seconda se indotto da un’influsso negativo o positivo.
 
Se si è angosciati una qualsiasi patologia dura più a lungo e con maggiori probabilità di complicazioni, mentre nell’allegria vera anche un pasto pesante ha maggiori probabilità d’ esser digerito.
 
Queste quotidiane evidenze hanno indotto ad investigare le molecole determinanti le tonalità dell’umore per poterne capire e gestire gli effetti ma le oggettive difficoltà di indagine hanno finora sostanzialmente vanificato il raggiungimento di questo obbiettivo. 
 
Il campo delle neuroscienze è riuscito solo di recente e in forma ancora approssimativa e incompleta a identificare e descrivere topograficamente alcuni centri ideativo-emozionali, il comparto in assoluto più sofisticato ed elaborato nella scala evolutiva .
 
Considerando che un cervello umano è composto da circa 100 miliardi di neuroni e le relative connessioni intercellulari ridicolizzerebbero l’insieme di tutti i sistemi informatici finora elaborati ogni descrizione della sua attività non può che rappresentare, nella migliore delle ipotesi, una generica e prudente sintesi.
 
Il “laboratorio dell’umore” è probabilmente collocato in una diffusa area distribuita tra i due emisferi cerebrali in cui tutte le acquisizioni vengono memorizzate, scandagliate e rielaborate e i cui segnali in uscita vanno ad incidere su ogni funzione dell’organismo in tempi e modi spesso imprevedibili.
 
Da un punto di vista strettamente autoconservativo della specie siffatta connessione non è assolutamente proficua alla salubrità in quanto esserne influenzata da fattori psicologici costituisce una distorsiva ingerenza su funzioni organiche essenziali.
 
Parimenti a qualsiasi altra manifestazione biologica il legame psiche-corpo e i reciproci condizionamenti rispondono, nel loro percorso evoluzionistico, al fattore “selezione naturale “. 
 
In sostanza soggetti con personalità “positiva” hanno più probabilità di sopravvivenza e migliore qualità della vita ,così come caratteri strutturalmente stabili, equilibrati, ottimisti, tenaci hanno migliori probabilità di mantenere sano l’organismo e condizionare positivamente le funzioni corporee. 
 
L’antico adagio “mens sana in corpore sano”, la mente è sana se lo è anche il corpo, andrebbe abbinata ad una versione riformulata al contrario, ” il corpo è sano se lo è anche la mente ” .
 
La combinazione tra sfera psichica (idee-emozioni-stimolazioni sensitivo sensoriali – memoria) e biotipo neurocerebrale  individuale struttura l’umore quale suo esito interattivo finale.
 
Il nostro percepire quotidiano si declina in innumerevoli sfumature, vedi tranquillità, quiete, letizia, contentezza, energia o viceversa agitazione, malinconia, abulia, noia, scontentezza quali esempi più consueti, che pur nella loro somiglianza emotiva esprimono una seppur minima distinzione .
 
La multiforme espressione della nostra psiche può essere distinta schematicamente in macro condizioni o toni dell’umore, aventi tre poli di riferimento, felicità-neutralità-infelicità nei quali si possono individuare sommari gradienti progressivi di estrinsecazione .
Umore

 

E’ singolare rilevare come l’infelicità risulti più multiforme nel suo declinarsi rispetto alla felicità ,aspetto di interessante interpretazione .

La “neutralità” è una condizione molto peculiare, una fascia limbica dove l’emozionalità sembra appartarsi per una pausa, una sospensione più o meno temporanea dell’animo contraddistinta da un’apparente assenza di connotati e per tale ragione categoria a sè stante ,da non confondere con l’Apatia Emotiva quadro rientrante già nel disagio psicologico.

Il passaggio da un stato all’altro può intraprendere i percorsi più vari: dal brusco cambiamento alla graduale transizione subordinato dalla tipologia degli eventi biologico-relazionali coinvolti.

Le capacità di compenso dell’organismo sono testate e conseguentemente usurate dalle continue sollecitazioni fisiche e mentali.

Passare direttamente dalla felicità alla disperazione massima, vedi disgrazie improvvise, senza transitare in forme intermedie, scatena un trauma psico-fisico tra i peggiori proprio per la drastica alterazione subita dai sistemi coinvolti, talvolta con esiti  fatali.

Tutti gli organi subiscono gli effetti di queste fluttuazioni, solo apparentemente in misura diversa data la maggiore “appariscenza” di alcuni rispetto altri: un cuore che pulsa più velocemente, lo stomaco che “brucia” per eccesso acido, una cute eccessivamente sudata e grassa riproducono segnali più evidenti rispetto a quanto può capitare a organi “meno appariscenti” per la loro distinta “espressività d’organo”    (vedi fegato, rene, pancreas, ghiandole endocrine).

Se la localizzazione neurologica dell’umore è approssimativamente definita ,la relativa organizzazione funzionale  nasconde quasi completamente tutti i suoi misteri facendo avanzare solo delle ipotesi.
La prima suppone la presenza di due distinte aree cerebrali collegate tra loro, qui metaforicamente denominabili “Felicitina” e “Tristone”, dove l’attivazione delle rispettive cellule nervose determina la condizione di appartenenza ( felicità o tristezza).

In questo caso sarebbe il tipo di “area cellulare stimolata ” a stabilire il connotato umorale determinato .

Una seconda ipotesi identifica nel tipo di neuromediatore la capacità di “selezionare”  categorie neuronali sensibili alla sua specifica azione.

Infine la terza eventualità ritiene che aree specifiche e mediatori siano un tutt’uno inestricabile, un’amalgama evolutiva interconnessa da cui sia impossibile contemplare la loro scissione, anche parziale .
Il cervello che indaga se stesso è un “esercizio di autoanalisi” molto affascinante ma  ricco d’incognite e spesso inesatte verità.

Nel corso dei secoli il genere umano ha tentato di individuare sostanze capaci di regalare la felicità .
L’uso illusorio di droghe, psicofarmaci, alcoolici, quali strumenti più frequentemente impiegati a tal fine dimostrano il loro immediato infausto insuccesso concedendo nella migliore delle ipotesi un brevissimo transitorio stato di “neutra” incoscienza od oblio.

Molti fattori ,ambientali-alimentazione-abitudini voluttuarie-stili di vita etc, concorrono a condizionare/stimolare/reprimere/esaltare entrambi i poli ma il primum movens misterioso e affascinante resta quel mutevole protagonista presente in ogni essere vivente: il pensiero.

Il pensiero è in grado di stimolare “Felicitina” o “Tristone” con conseguenti effetti a cascata sul corpo bersaglio.
La società consumistica è un’efficiente apparato “tristonico” in quanto pur consentendo variabili margini di sicurezza materiale la richiesta in contropartita si concretizza nell’erosione dello spazio vitale sia individuale che ambientale destinati entrambi al progressivo deterioramento.

Per esempio il progressivo deterioramento dell’habitat naturale perpetrato dall’uomo in pochissimo tempo per conquistare e accatastare questa presunta quantità di “benessere” ha innescato effetti irreversibili o comunque solo ipoteticamente regredibili con la sola sospensione totale di tutte le sue attività.
La liberazione dalla schiavitù delle esigenze primordiali della sopravvivenza si è trasformata  nella rincorsa al possesso di “cose” debordanti la ragionale e concedibile esigenza di migliorare la propria condizione materiale edificando un baratto esistenziale dove la qualità è a scapito della quantità, quando peraltro presente.

Alla fine degli anni’60 furono effettuati studi   su alcune popolazioni  vere e proprie enclavi distribuite su continenti diversi ,quali Okinawa in Giappone- Abkhazia in Caucaso – Hunza in Pakistan – Vilcabamba in Ecuador e più recentemente Ovodda in Sardegna e Loma Linda in California,caratterizzate da peculiare longevità.

L’esito delle ricerche dimostrò un’elevata percentuale di ultracentenari attivi psico-fisicamente e con rarissima incidenza di patologie.
Tale evidenza è stata confermata dal fatto che successive “infiltrazioni contaminanti” dell’espansionismo del profitto ,vedi soprattutto Vilcabamba e Hunza, ha prodotto immediate gravi ripercussioni tipiche “dell’avanzata società industrializzata” in precedenza quasi completamente sconosciute o a bassissima incidenza quali:
 
  • tumori
  • cardio-vasculopatie-ipertensione
  • dismetabolismi: diabete, dislipidemie
  • patologie degenerative e/o autoimmunitarie
  • infezioni
 
I connotati prevalenti di queste comunità sono l’armonia sociale con valori forti e condivisi, livelli di stress personali e relazionali pressochè assenti e un sano stile di vita caratterizzato da:
  • Attività fisica adeguata e proporzionata alle reali esigenze quotidiane, senza eccessi ma con bando totale alla sedentarietà.
  • Alimentazione territoriale principalmente vegetariana crudista integrata con cereali integrali, legumi, uova, qualche derivato del latte non vaccino.
  • Carne rarissima se non totalmente assente nella dieta, eccetto nei caucasici ove il lardo è comunemente consumato, parimenti a vodka e tabacco ovviamente di produzione propria.

 

E quest’ultimo dato è estremamente interessante in quanto dimostra l’estrema adattabilità dell’organismo alla sua dieta, purchè sana, naturale e adeguata alle esigenze personali e alle caratteristiche del territorio.

Nella comunità abkhaziana pur assumendo grassi animali, alcolici e tabacco, tra i maggiori imputati nella società industrializzata quali agenti “letali”, non producevano alcuna variazione nell’ incidenza patologica.

Le evidenti differenze etniche, ambientali, nutritive e genetiche costituivano elementi fondamentali di contrasto ad una spiegazione unitaria del fenomeno: così diversi in tutto ma con in comune il bene più prezioso, una vita sana e longeva.

L’esito finale delle ricerche ha individuato quale fattore predominante l’assenza reale dello stress coadiuvato da un’attività fisica costante e una dieta semplice.

Una diffusa ed omogenea “Felicitina” scaturita da un pensare personale e collettivo molto positivo.

Aggressività, conflittualità, prevaricazione sono diventati nella società consumistica elementi abituali di confronto e convivenza tanto da considerarli non una più rara eccezione ma l’habitus di normale relazione.

In questo humus umorale le patologie, cardiovascolari-dismetaboliche-neoplastiche-immunitarie in primis, trovano condizioni ottimali per il loro insediamento e sviluppo.

Ogni persona e quindi ogni paziente deve sempre ricordare che se desidera la salute del proprio corpo deve esercitarsi, nei limiti del possibile, a raggiungere condizioni di serenità migliori.

Lo stato di salute di ciascun soggetto deriva dall’interazione tra la costituzione genetica individuale e molteplici fattori quali l’alimentazione, le abitudini di vita, l’habitus psichico, la qualità dell’ambiente, l’assunzione di farmaci etc. ma regalarsi dosi quotidiane di ” Felicitina” è l’imprescindile conditio sine qua per resistere a lungo ma soprattutto con qualità. 
Felicitinamente. 
 
MENS SANA IN CORPORE SANO  et
CORPUS SANUS IN MENTE SANA
 
Dott. Roberto Russo
 
© Riproduzione riservata 2003
 
Versione aggiornata del 2015

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